Lavorare giocando, giocare lavorando.

Oggigiorno, quando cerchiamo qualcosa che ci occorre, tendenzialmente ci affidiamo a Google. E’ innegabile che si possa trovare di tutto e di più, ma io su alcune faccende preferisco metodi più tradizionali: ad esempio, chiedo ad un amico.
Ed è così che, quando ho pensato di cercare un produttore di vini delle Langhe, mi sono rivolto a Dario Natta che, oltre ad essere un mio caro amico, è un produttore di vini del Monferrato. L’occasione propizia è stata quando si è fermato a pranzo, dopo avermi consegnato il vino.

“Vai a Neive, da Ivan Rivetti, è uno dei nostri; uno con cui ci si può capire. Tra l’altro lo conosci già, perché avete mangiato insieme quando vi ho invitati per la fiera del Bue Grasso di Moncalvo. Ti ricordi? Aveva portato il suo Barbaresco”.
Quella era stata una di quelle giornate campali che non si dimenticano, ma i ricordi rimangono offuscati per i motivi che si possono immaginare. Avevamo cominciato, come da tradizione, alle sette del mattino con una zuppa di trippa e ceci, in piedi, come fosse un aperitivo; poi abbiamo continuato a tavola con il bue: prima crudo, battuto e cosparso di tartufo, dopodiché bollito in tutti i suoi tagli con tanto di salse e mostarde, intervallato da plin in brodo. Il Barbaresco era solo una delle tante altre bottiglie che ubriacavano il bue… tanto per dire. Questa sorta di ‘colazione’ era finita verso le undici e dopo siamo andati a visitare la Fiera, dove i buoi in bella esposizione erano più di una tonnellata, ma io me li ricordo ancora più grossi, e più grassi. Praticamente dei dinosauri.
Finita la festa gabbato lo santo? Neanche per sogno! Dario ci invita nella sua cantina per il pranzo che aveva fatto preparare, accompagnato dalla degustazione di tutti i suoi vini. Un massacro. Finalmente, nel tardo pomeriggio riusciamo a tornare a casa. Daniela, mia moglie, che è sobria per natura, si mette alla guida dell’auto e io collasso sul sedile ribaltato. E non è che avessi bevuto chissà cosa, solamente assaggiato. Poco, ma di tutto. Il fatto è che io non reggo tanto , e poi mi misuravo con dei veri professionisti.
Tornando alla questione dei vini delle Langhe, chiamo Ivan, dopo essere già stato annunciato da Dario, e prenoto una visita nella sua cantina per un lunedì, che è il nostro giorno di riposo.
Arrivare nelle Langhe, in una bellissima giornata soleggiata d’autunno, con i colori cangianti dei vigneti, già di per sé è una degustazione di bellezza, senza ancora considerare ciò che avremmo degustato di bontà.
Ci accoglie un’impiegata, scusandosi dell’assenza di Ivan, ancora impegnato nella vendemmia del Barbaresco, l’ultimo ad essere raccolto. Ci rimango un po’ male, ma capisco le priorità che ti impone il lavoro. Cosicché, penso di chiudere la faccenda con una formale degustazione dei vini, la valutazione degli aspetti più commerciali e poi via a fare un giretto per le Langhe.
Iniziamo così ad assaggiare, prima i bianchi: Arneis e Chardonnay; poi i rossi in un crescendo, a partire dal Dolcetto. A proposito di questo vino, vorrei sfatare l’idea che sia un vinello poco impegnativo, da bere senza troppa convinzione, tanto per… Questo che abbiamo bevuto fa 13.5°, con una certa consistenza. Siamo passati poi al Barbera, al Nebbiolo, al Barbera Superiore, finendo con Barbaresco e Barolo. Di tutti ho assaggiato e bevuto. Poco, ma senza sputarlo nelle apposite sputacchiere come ho visto agli intenditori nelle varie fiere. Capisco che quando assaggi tanti vini non puoi tornare a casa al passo del leopardo, ma è un gesto che mi ha sempre irritato. E’ giustificato come un gesto tecnico, da professionisti, ma come tutti i tecnicismi si dimentica dell’amore e del rispetto che richiede il frutto di una creazione.
Pensavo di essermela cavata con una degustazione di circostanza, quando arriva Ivan scusandosi del ritardo. Ci dice, con palese soddisfazione, di aver finito l’ultima vendemmia del Barbaresco e che voleva brindare insieme a noi. Ricominciamo a bere. Ci raggiunge anche sua moglie. Una chiacchiera tira l’altra, ci riveliamo. Scatta la simpatia. Intanto si è fatta l’ora di pranzo. Dopo averci chiesto se avevamo impegni, prende il telefono e chiama un suo amico ristoratore per prenotare per noi quattro. C’è solo ancora un tavolo, ed è il nostro. Un tavolo contornato da scaffali con centinaia di bottiglie di vino di ogni parte del mondo. Noi ne beviamo solo due, però, consigliate da un appassionato e competente, oltre che giovane, oste.
Il pranzo scivola liscio, che è una meraviglia. Il buon mangiare, il buon bere, la buona compagnia. Lo stile del ‘Buono’, che cerco di praticare e raccontare, al contrario di mediocri ‘effetti speciali’, fintamente ricercati.
Finito il pranzo, Ivan ci invita a ritornare in cantina per assaggiare ancora vini dolci, passiti e spumanti. Sicuramente non possiamo rifiutare, anche se l’asticella del livello di guardia era già oltre misura. Quest’ultima degustazione, manco a dirlo, è la ciliegina sulla torta.
“A questo punto, non ci rimane che visitare la cantina”, ci dice Ivan.
Mi trovo davanti una barricaia che è una meraviglia, come si può vedere dalle immagini. Tra queste botti c’è la storia di una famiglia, che parte dai trisavoli di Ivan passando per la visionarietà di Dante, suo papà, di cui la cantina porta il nome, che ha affermato la sua idea di eccellenza, portata avanti con passione e tenacia da tutta la famiglia Rivetti.


Dalla barricaia passiamo alla zona operativa. Attraversando le vasche cilindriche di acciaio, Ivan ci racconta tutte le fasi di lavorazione, mentre l’aria che respiriamo si fa sempre più rarefatta, provocando una sensazione strana di euforica leggerezza che tendo ad addebitare alle varie degustazioni di vini. Invece Daniela, che è più sobria e pratica di me, intuisce che, essendo in tempo di vendemmia, siano le esalazioni del mosto fermentato a farci girare la testa. Infatti Ivan ce ne dà conferma, dicendo che ovviamente non ci sono rischi in quanto gli ambienti sono ben aereati, e che loro ci sono ben abituati.
Alla fine del tour, definiamo i dettagli commerciali e ci portiamo subito a casa la nostra prima fornitura dei vini di Dante Rivetti. Ovviamente non sarà una fornitura una tantum, perchè noi con i fornitori stabiliamo rapporti duraturi di collaborazione che, con la gran parte, durano da circa 30 anni.
Prima di tornare a casa, ci siamo fermati tra i filari dei vigneti a guardare l’ultimo spicchio di sole che scompariva dietro le colline, dopodiché Daniela si è messa alla guida e io ho ribaltato il sedile, lasciandomi cullare dalle curve delle colline langarole.

In conclusione, abbiamo passato una ‘faticosa’ giornata di lavoro nel nostro giorno di riposo. Praticamente quello che abbiamo sempre fatto, facendolo diventare uno stile di vita: lavorare giocando e giocare lavorando, anche al rischio dell’incolumità.
A questo punto vi saluto insieme a Ivan Rivetti e alla sua più preziosa botte.

Tante belle cose da Renato e Daniela Collodoro e la compagnia bella di Ristò – La Trattoria del Buon Mangiare nel centro di Torino