Meglio STRIT FUT che street food

Il mangiare di strada è più che un pasto frugale,
è il Carpe Diem del gusto.
La Strada insegna
Così come il mangiare a tavola è rituale, finanche celebrativo, il mangiare di strada è – al contrario – occasionale, istintivo, primordiale. Nasce da un impulso. Ora fisiologico: il morso di fame a qualunque ora del giorno e della notte, ora sensoriale: la vista e il profumo di alimenti che friggono, grigliano, bollono attraendo come un richiamo di sirene. È come una donna di strada che cerca di sedurti con gesti sinuosi e sguardi ammiccanti inequivocabili, cercando di farti pregustare quello che potresti consumare. E’ un attimo fuggente, rubato al tempo scandito. Una passione vorace, senza pretese e raffinatezze, che non ti chiede tanto e non si aspetta tanto: il giusto compenso, dichiarato, senza compromessi, malintesi o sottintesi per un incontro vorticosamente breve, ma dal sapore intenso.
È l’incontro che fai nei luoghi del Mare Nostrum.
Tra i vicoli di Genova, dove le friggitorie spadellano acciughe ripiene, panissa, frittelle di baccalà e gianchetti,confondendosi con le sfornate di sardenaira, focaccia e farinata. Quest’ultime talmente diffuse ovunque da aver fatto dimenticarne l’origine.
L’arancino invece, per non disorientarsi, si è sempre fatto qualificare dall’appellativo “siciliano”. Altri, specialmente a Palermo, non ne hanno avuto bisogno: i loro nomi non lasciano spazio a copie o storpiature.
Pane ca meusa: panino imbottito di fettine di polmone e milza fritte nella sugna, lo strutto;
pane e panelle: frittelle di farina di ceci;
le stigghiole: interiora di agnello attorcigliate, cotte alla brace e servite nei coppi di carta paglia;
i cazzillli: polpettine di patate, di cui è inutile ricordarne la forma;
i ricci di mare, con il pezzo di pane usato a mo’ di cucchiaino;
u pane cunzato: pane appena sfornato condito con conserve o semplicemente con olio sale e pepe;
i’ mpanate o schiacciate: calzoni ripieni e cotti al forno;
quarume: composta da viscere di vitello (tipicamente ventra, matruzza, centopelle e ziniere) bollite nella “quarara” con cipolle, sedano, carote, prezzemolo. Viene servita calda con sale, pepe, olio, limone.
Finisco con la frittola, ma potrebbe non essere l’ultima, che viene ottenuta friggendo i ciccioli, cioè i residui della lavorazione del lardo di maiale per ottenere lo strutto.
Ma quanti altri incontri ho fatto nel mio bighellonare?! Di sicuro me ne perdo qualcuno.
I muss’ e porc’ a Napoli, in via Caracciolo, con la pizza fritta e le mozzarelle in carrozza;
i panzerotti salentini;
la porchetta, un’altra figlia di nessuno, anche se in realtà quella originale è di Ariccia, in provincia di Roma;
gli arrosticini abruzzesi, le olive all’ascolana, la piadina romagnola, le sarde in saor dei bacari veneziani e, salendo ancora, i bretzel altoatesini .
E dall’Italia, tra gli altri, onore alla Turchia che là dove non è riuscita ad espandersi con l’Impero Ottomano, è riuscita con il Kebab, diventando un faro del mangiare di strada. Che però se la contende con altri big dell’imperialismo: l’Hot Dog e l’hamburger, con grondanti dosi di Ketchup, senape e maionese. Tra l’altro questi sono gli unici – solo perchè non ce ne sono altri – che si possono annoverare come esemplari dello street food.
Di sicuro non mancano altri ‘mangiari di strada’ in altre parti del mondo ma non li conosco o non sono entrati nei nostri usi. Mi viene solo in mente che, in Tailandia, mi è capitato di mangiare una zampa di gallina arrostita e in Colombia dei formiconi caramellati.
Tutte queste bontà hanno in comune il fatto che non si mangiano, si divorano!
Non gli si dà un borghesuccio morsetto, ma si azzannano con ingordigia popolana, con il rischio di coinvolgere qualche dito, che, se rimane incolume, si succhia con tutti gli altri componenti della mano. I bocconi riempiono la bocca – probabilmente per questo si chiamano così -, gonfiando le mascelle come due palloncini e poi si manda giù tutto d’un botto ingolfando l’esofago. Quando il boccone s’impiglia nella sua discesa, si danno due colpetti con il pugno della mano all’altezza dello sterno. Per aiutarsi solitamente si chiede l’ausilio di una bevanda gassata, cosicché l’effetto gastrico diventa deflagrante. A Catania, come a Napoli, ho trovato dei chioschi in stile liberty che vendono bevande rinfrescanti e digestive a base di seltz, limone e bicarbonato. È chiaro il motivo.
Con il cambio degli usi, che prevede il nomadismo dei potenziali mangiatori che affollano eventi di varia attrazione, sono nati i furgoni paninari. Una concentrazione ambulante di molte delle specialità sopraccitate. Prima di vederli, normalmente si scorge il fumo e l’odore dolciastro delle cipolle che rosolano ininterrottamente. I personaggi che li gestiscono, spesso corpulenti e unti, vengono conosciuti con soprannomi del calibro di: Il Lurido, Lo Zozzone, Il Sudicio, declinati nei dialetti dei luoghi in cui di solito bazzicano.
Luridi o Zozzi che siano, svolgono anche funzione di calmiere sociale, visto che radunano tanti nottambuli aiutandoli a ritrovare un minimo di equilibrio, prima di rientrare a casa, ingurgitando paninazzi che compensano gli effetti della fame chimica, generata da liquidi e fumi inebrianti.
Il mangiare di strada è il conforto di un momento. Non è il grande amore da assaporare con calma, che ti richiede la ricerca accurata della materia prima, l’impegno, il tempo di preparazione e la fantasia per renderlo e rinnovarlo sempre più gustoso.
Così è il mangiare, e così è la vita: nasciamo cercando conforto, ma maturiamo anelando consolazione.
Dal mio libro: IL BUON MANGIARE
Conversations 15 comments
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da un occhiata al sito buyboom…
Grande Renato, come sempre “centri il bersaglio” con eleganza e “sicurezza”… Sei come la Panda: se non ci fossi bisognerebbe inventarti 🙂
Questa me la segno… una Panda. Bellissima!!! Grazie infinite. Vorrà dire qualcosa che ho una Panda??
Speriamo di vederci presto, caro Ezio.
Renato
… e sarà, come sempre, un piacere!
Ciao ezio
Ciao Renato!
Io ricordo durante un viaggio in Sicilia i meravigliosi pomodori carnosi gustati per strada. Una lavata sotto la fontana, un pò di sale e via….magnifici, carnosi e gustosi.
Ci vediamo questa sera alla risottata, e tienimi da parte i libri!!
Margherita
Grazie Margherita, a stasera!
Renato
Ciao, nella tua appetitosa lista manca il LAMPREDOTTO fiorentino.Si perde nella notte dei tempi quando i popolani cucinavano le parti di scarto dei macellai. Tra queste la parte del manzo che si prediligeva era l’abomaso, ovvero l’ultimo stomaco che aveva delle crespature simili alla lampreda,da cui il nome Lampredotto che, da cibo per poveri, è diventato uno STRIT FUT, o per dirlo in Italiano, un bel panino, tra i più ricercati.Ci vediamo, Massimo.
Ma quante ne sai!? Grazie per il contributo, caro Massimo. Chissà quante me ne sono ancora sfuggite, di queste specialità.
A presto
Renato
Tutto meraviglia. Ricordi di viaggi in terra napoletana, siciliana, pugliese, eoliana ecc ecc. Ma Piemonte? I batsoà, si scrive così?, la curadela, le granele, le grive, dove li mettiamo?….piatti della tradizione che si trovano solo nelle fiere
Grazie per il tuo contributo piemontese, cara Marisa.
a presto
Renato
Complimenti per la vena poetica che metti in tutto ciò che fai !!!
Mi permetto solo, da buon romagnolo di 70 aa. , di dirti che il termine “piadina” non dovresti
usarlo poichè è un vezzo turistico che ha preso piede in questi ultimi 15 anni.
E’ meglio chiamarla la “piada” ( o “pieda”) come anche il Pascoli la decantò nella sua poesia.
Ancora complimenti
Franco
Grazie mille per il tuo contributo, Franco. Hai ragione, chiamiamo le cose con il loro nome.
Tante belle cose e a presto
Renato
Ed io non posso dimenticare “il quartiere” del cibo di strada di Pechino: strade intasate di bancarelle dove si fa di tutto, dagli spaghetti fatti a mano -che vedi nascere pian piano da una palla di pasta che viene tirata e strapazzata con le dita fino a diventare una selva di fili sottilissimi – che puoi comprare così o farti cuocere e scodellare nel brodo direttamente da loro, a tutta una sinfonia di verdure, carni, pesci, saltati, grigliati, bolliti, fritti, avvoltolati, speziati, la più parte dei quali non conosci e nemmeno saprai come si chiamano, e che scegli così a naso, per l’odore o per il colore…il sapore lo scopri per ultimo….arricchito indubbiamente dalla scarsa igiene che contraddistingue il tutto (e quel che non strozza…)
E per sciacquarsi la bocca, succose fette di papaia e mango o, ahinoi, coca cola.
Chissà se esiste ancora? sono passati….enne anni orami da che ci sono stata!
Buona risottata questa sera.
A presto!
Grazie Emanuela, molto evocativa la descrizione. In Asia sono dei veri maestri. Chissà come lo chiameranno ora il mangiare di strada? Spero che non abbiano capitolato anche loro con lo street food. Stasera ti dedicheremo almeno un risotto con i tuoi amici.
Un abbraccio
Renato
Arancino o arancina?
Sicuramente arancina (piccola arancia). Almeno a Trapani l’abbiamo sempre chiamata così, e credo anche a Palermo. Ma il plurale, in dialetto, fa “i arancini” (come “i fimmini”, la “e” non si usa) e questo, con la diffusione nazionale fuori dalla Sicilia, ha creato la confusione. Poi è arrivato Camilleri con “Gli arancini di Montalbano” e ci ha messo una pietra sopra.
Oggi le trovi dappertutto, ma il sapore… Com’erano buone quelle che mia mamma mi preparava per affrontare il lungo viaggio in treno da Trapani a Torino quando studiavo al Politecnico, riso bollito con lo zafferano e ragù di carne coi piselli. Più che cibo di strada cibo da viaggio!