Quello che c’è da sapere Q.B.

Le 50 ricette che scorrerai in queste pagine sono quelle dei risotti campioni delle Maratone del Risotto. Un evento che prevede la degustazione di 10 risotti più una dolcezza (sempre a base di riso) che, fin dal 2010, proponiamo quasi ogni 3° giovedì del mese, suscitando grande interesse e soddisfazione tra i convitati. Ho definito “campioni” perché, durante la Maratona, ai partecipanti vengono consegnati dei moduli su cui esprimere il loro voto. Non pensare a tutte le gare di cheffaggio che si vedono in televisione: per noi è solo un gioco, un modo per rendere partecipi i commensali. Così, dopo che Fausto, il nostro cerimoniere, a fine serata ha finito lo spoglio delle schede e decretato il risotto campione, ne scrivo la ricetta e la invio a tutti gli iscritti alla nostra rubrica di posta elettronica. Contestualmente, comunico la data e i risotti concorrenti della Maratona successiva, oltre che altri eventi, notizie, auguri, saluti, sorrisi & canzoni…
Andando a rileggere alcune di queste ricette, nel tempo che mi abbondava durante i vari locddaun, mi sono sorpreso e divertito di ciò che avevo scritto. Così mi sono detto: “Perché non condensarle in un libro, in modo da non disperderle nell’indifferenziata – o indifferenza – visto che si tratta di cibo, quindi materiale organico riciclabile?”. Subito dopo mi sono chiesto: “A che pro? Per venderlo? Per raccogliere fondi per progetti umanitari, come ho fatto con gli altri libri che ho pubblicato? Per organizzare altri eventi e presentazioni?”. No, niente di tutto ciò! Stavolta l’ho voluto pubblicare senza nessuno scopo – cosa impensabile di questi tempi -, ma solo per il piacere di regalarlo. Punto e basta! Per il piacere di condividere qualcosa di buono, gustoso – almeno per me lo è -, sperando che lo sia altrettanto per chi lo riceve, dandogli il valore che può avere un dono non scontato e neanche finalizzato a un buon rendere. Meglio definirlo un vuoto – che vuoto non è – a perdere.
Queste mie ricette NON sono descritte con dosi, procedimenti, dettagli, Q.B., eccetera eccetera; io preferisco raccontartele: come nascono, le sensazioni che mi suscitano, i sentimenti che mi evocano. Al massimo ti posso dire che devi usare due pugni di riso a persona, che il riso va prima fatto tostare con un filo d’olio, una noce di burro e il trito di qualcosa (che ti accennerò a seconda della ricetta), che sfumare il vino significa farlo evaporare e assorbire del tutto e, ancora, che il brodo va versato bollente sul riso tostato e sfumato. Ecco, così te l’ho detto adesso e non te lo devo ripetere ad ogni ricetta. Anche se poi te lo ricorderò lo stesso. Altro non posso dirti, io non sono uno chef e neanche un cuoco: sono un oste. In cucina sono un dilettante che si applica con metodo e cognizione. Dilettante perché mi diletto; però sono anche un professionista, per cui i conti devono sempre tornare e non possono farsi senza l’oste.
In ogni caso, penso che i tecnicismi disumanizzino. La ricerca esasperata delle procedure e delle modalità fa perdere gusto al piacere di cucinare e, nello stesso tempo, non ti impegnano, anzi, ti deresponsabilizzano.
Insomma ci devi mettere del tuo, così facendo le mie ricette diventano anche le tue; e non pensare subito al risultato e alla fatica che ci vuole per realizzarle: goditi il gusto di cercare la merce, di cucinarle e di servirle. Tante volte la strada dà più soddisfazione del traguardo, e te lo dice uno che, senza essere stato a Santiago di Compostela, di cammini in Italia ne ha già fatti diversi e, forse, un giorno farò anche quello di Santiago, almeno per non sentirmi sempre dire: “Ma come, hai fatto tanti cammini e non hai fatto quello di Santiago?!?”.
Con queste mie ispirazioni culinarie, ti puoi cimentare per stupire le suocere, per l’ultima conquista, per gli anniversari, per tirartela con quelli che, a loro volta, se la tirano da gourmand… Vedi tu! Se ti vengono bene, puoi anche dire che sono una tua invenzione, altrimenti di’ pure che te le ho date io, confermando ciò che ha scritto su TripAdvisor un partecipante alla Maratona a cui i risotti sono sembrati ‘banalotti’, ha scritto proprio così. Solo due su dieci, secondo l’arguto recensore, sarebbero stati degni di nota, aggiungendo pure altre cose poco carine con tono sarcastico.
Giustamente ognuno ha il diritto di criticare, ma altrettanto giustamente io ho il diritto di replicare, come ho fatto sempre su TripAdvisor e come ti riporto qui per ribadire alcuni concetti sui quali costruiamo le nostre proposte.
Intanto noi non confondiamo la semplicità con la banalità, come spesso succede e viene mal interpretata, più o meno in malafede, ma di questo ne parleremo ancora attraverso le ricette.
Le nostre proposte si rifanno ai seguenti criteri:
stagionalità: cioè quello che offre il mercato in base al periodo in cui siamo, anche se ora tanti prodotti si pretendono e si trovano tutto l’anno, banalizzando e mortificando il naturale avvicendarsi delle stagioni;
ricerca: che non è ricercatezza esibita e ostentata, ma sperimentazione in base a competenze e, soprattutto, esperienza;
tradizione: richiamo a ricette che fanno parte di quel Patrimonio Culturale che ci hanno tramandato nonne, mamme, zie… E qualche cuoco.
Ecco, diciamo che sono un ‘sempliciotto’!
O preferiresti avere a che fare con un cuoco turbato, ossessionato dalla ricerca vanagloriosa di stupirti con effetti speciali?
Io preferisco andare al mercato e lasciarmi ispirare da quello che offre la stagione. Se poi questa ispirazione mi arriva tra capo e collo facendo una passeggiata in campagna, come quando in mezzo ai rovi ho trovato gli asparagi selvatici, il rischio è di sentirmi talmente ispirato da andare in estasi francescana e di immaginarmi di vivere in letizia (non con Letizia, Daniela non gradirebbe) con quello che Madre Natura ci offre.
A proposito di Daniela, che spesso troverai citata tra le ricette, avrai capito o saprai già che è mia moglie, oltre che socia da quando, nell’ormai lontano 1983, abbiamo aperto il primo locale ad Alassio:
un BarRistorantePizzeriaPaninotecaCircolo…etuttoquellochesipotevafaredipiù, dove lei stava in cucina e io in sala, ma anche a fare il pizzaiolo e tutto il resto. Nel frattempo abbiamo ancora aperto, con altri compagni di ventura, un locale stile american graffiti, per poi seguire con un Discobar, uno Sporting club, uno stabilimento balneare, un Bistrot, un’Osteria più un’altra, una Bottega di prodotti tipici, una Dolceria, una Sfizieria, una Risotteria più un’altra, e altre cose ancora su cui è inutile dilungarmi. Ma diciamo che non ci siamo fatti mancare nulla.
Negli ultimi anni, però, avevamo ridotto l’operatività facendoci aiutare da persone di fiducia. Ma poi è arrivata la pandemia con le conseguenti chiusure, motivo per cui, per far fronte a tutti i problemi che ne sono derivati, abbiamo rivoluzionato le nostre attività: Osteria Mezzaluna e Oryza, sintetizzandole in una sola che è diventata Ristò – La Trattoria del Buon Mangiare. E Daniela ed io siamo tornati agli albori, sgambettando come i due ventenni di allora.
E in futuro?
Rispetto a tutto quello che stiamo vivendo da un po’ di tempo a questa parte, tra pandemia e guerra, ora mi viene difficile fare programmi, non dico a lungo, ma neanche a medio o breve termine, nell’attesa di una rinnovata normalità. Da una parte può essere un bene, che dovrebbe indurci a cercare di vivere più intensamente l’attimo – Carpe diem – apprezzando e gustando ogni minima cosa ci si presenti; ancora di più se pensiamo a chi si è trovato, di punto in bianco, la vita stravolta, se non persa del tutto. Dall’altra può sopraggiungere lo sconforto, l’amarezza, la perdita di speranza e, quindi, la mancanza di un progetto. Questo vale per le piccole, come per le grandi cose della vita.
Comunque è imperativo andare avanti, ognuno nel suo: con scienza e coscienza… come si dice. E noi andiamo avanti!
Concludendo, come epilogo troverai un apologo: una storiella che ho scritto durante il primo periodo di ‘arresti domiciliari’.
P.S. – 1 Un ultimo accenno al titolo: non esiste alimento di colore grigio!! Neanche più o meno sfumato. Al massimo può fare da sfondo, come il piano d’acciaio su cui si lavora in cucina, o come i nostri ‘grigiori’ che, con i colori dei cibi, possono essere rallegrati. Quando mi capita una giornata grigia, un giro al mercato mi migliora l’umore anche se è in pieno inverno e il cielo è dello stesso colore. In cucina poi, mettendo in moto tutti i sensi, si attivano pure gli ormoni del buon umore; in particolare, dopo che hai gustato quello che hai mangiato, magari accompagnato da un bicchiere di vino. Non dico, come si direbbe in queste circostanze, ‘un buon bicchiere di vino’, perché ci mancherebbe pure che devi bere un bicchiere di vino cattivo! Anche gli psicologi, che studiano la cromoterapia, hanno stabilito che i colori dei cibi ci fanno bene, per cui, anziché sdraiarci sul lettino per farcelo dire, mettiamoci all’opera che è tutto di guadagnato.
P.S.2 I titoli di ogni ricetta non riguardano gli ingredienti, ma uno spiraglio sul contenuto. Questo potrebbe crearti confusione ma anche suscitarti curiosità.
P.S. – 3 A chi, come e quando regalerò questo libro lo decideranno le circostanze.
Tante belle cose da Renato Collodoro
Conversations One so far
Grazie per le ricette che hai sempre pubblicato, alcune le ho anche provate. Auguri per il Ristò dove ho mangiato molto bene e saluti a tutta la compagnia